La Cassazione ritiene compito della ASL dimostrare di aver fatto tutto il possibile se un medico ha un malora a causa dei turni massacranti.
Una ordinanza della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro del febbraio scorso (la 6008/2023) conviene con un medico, infartuato a seguito di turni e ritmi massacranti, sul fatto che è l’ASL a dover dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
L’evento
I fatti di cui si tratta nell’ordinanza si riferiscono ad un caso piuttosto esemplare in relazione alla situazione difficile che vivono alcune Aziende Sanitarie Locali riguardo al cronico sottodimensionamento del personale sanitario.
Un ortopedico e traumatologo dipendente di una ASL, dopo che per anni è stato costretto a ritmi e turni di lavoro decisamente intollerabili, subisce un infarto del miocardio.
Costui cita in giudizio l’ente sanitario, al fine di essere risarcito del danno biologico, sulla base di quanto riportato dall’Art.2087 del Codice Civile: “[l]‘imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.” In primo grado il Tribunale non riconosce responsabilità all’Azienda Sanitaria Locale, in quanto si evidenzia come questa non avesse né il potere di aumentare l’organico, alleggerendo in tal modo l’onere del professionista, né, d’altro canto, la possibilità di rifiutare le cure ai pazienti.
L’appello del ricorrente in Cassazione viene respinto dal Tribunale provinciale.
Il ricorso in Cassazione
L’ortopedico e traumatologo, al fine di contestare le decisioni dei giudici di merito, ricorre a cinque motivi, che la Corte di Cassazione ritiene peraltro tutti fondati.
Il primo motivo proposto è strutturato sulla violazione e falsa applicazione del summenzionato Art.2087 del Codice Civile. In particolare, si evidenzia in negativo come i giudici di merito abbiano ritenuto non accoglibile la richiesta del medico, poiché questi non avrebbe specificato quali particolari norme della sicurezza la ASL avrebbe violato.
Con il secondo motivo il ricorrente impugna la tesi dell’assenza di colpa da parte della ASL nel mancato adeguamento dell’organico, nonché l’affermazione secondo cui sarebbe stato lui stesso, in quanto dirigente, ad essersi autoinflitto i turni ed i ritmi massacranti.
Il terzo motivo pone l’accento su un aspetto centrale, rimandando all’Art.1218 del Codice Civile sulla responsabilità del debitore. Si evidenzia cioè che da parte del danneggiato è sufficiente dimostrare il nesso causale tra le condizioni di lavoro nocive e l’evento, mentre sta al chiamato in causa provare di aver fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per evitare il danno.
Il quarto ed il quinto motivo contestano due specifiche considerazioni dei giudici di primo grado e cioè:
che il ricorrente non abbia sufficientemente dimostrato il nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e l’infarto;
che lo stesso non abbia sufficientemente chiarito quali siano gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli emersi a seguito della menomazione.
Il parere della Cassazione
Come anticipato, i giudici nell’ordinanza sostengono la fondatezza delle posizioni del medico infartuato, precisando, in particolare, che spetta al danneggiato provare:
l’esistenza del danno alla salute;
la nocività dell’ambiente di lavoro;
il nesso causale tra 1. e 2.
Spetta invece al datore di lavoro dimostrare “[…] di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo”.
A tal proposito si citano ampi stralci di una precedente pronuncia della Cassazione, la sentenza n.34968/2022. In essa si specifica che spetta “[…] al datore di lavoro dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l’accaduto a sé non imputabile”. Ciò significa che la valutazione dei giudici di merito in relazione alla mancata specificazione, da parte del ricorrente, delle norme di sicurezza violate dalla ASL è del tutto infondata.
In merito alla tesi dell’insufficiente dimostrazione del nesso eziologico tra contesto lavorativo e arresto cardiaco, la Corte sottolinea come il ricorrente abbia a suo tempo ottenuto l’indennità, riconosciuta da causa di servizio: già ciò è sufficiente ai fini della condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno. Allo stesso modo, è censurabile la considerazione dei giudici di merito in relazione alla scarsa chiarezza sugli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che sarebbero emersi in seguito al sinistro. Ciò avrebbe avuto senso solo se vi fosse stata richiesta – da parte del ricorrente – di personalizzazione del danno.