Con la sentenza n. 789 del 6 maggio 2025, il Tribunale di Firenze ha assolto un OSS accusato di esercizio abusivo della professione sanitaria per aver somministrato un antipiretico a un paziente in RSA. Molti l’hanno definita “storica”, ma in realtà apre più questioni che soluzioni. In questo articolo analizziamo i punti chiave e le gravi contraddizioni di questa pronuncia, per chiarire cosa significa davvero e cosa rischiano gli operatori e le strutture.
La sentenza: cosa dice?
Secondo i giudici, l’OSS non è penalmente responsabile se sono rispettate queste tre condizioni:
1. Il farmaco non richiede competenze cliniche (es. compresse orali senza necessità di valutazione).
2. La delega dell’infermiere è formale e scritta, con tracciabilità della prescrizione.
3. L’OSS agisce in buona fede, con formazione adeguata e nel rispetto delle procedure.
La Corte precisa che non è necessaria la presenza fisica dell’infermiere, ma è sufficiente una supervisione documentata.
I punti positivi (solo in apparenza)
Sulla carta la sentenza:
riconosce la necessità di protocolli e formazione;
sposta parte della responsabilità sulle strutture sanitarie;
sembra aprire a una delega organizzativa.
Ma se si va oltre la superficie, emergono criticità profonde.
Le gravi contraddizioni della sentenza
1. Il farmaco “non clinico” non esiste
La sentenza distingue tra farmaci che richiedono o meno valutazioni cliniche.
Ma non è solo la via di somministrazione a determinare il rischio,
ma anche tanti altri fattori fondamentali, come:
il tipo di farmaco e la sua farmacodinamica/farmacocinetica;
la dose e la concentrazione;
le condizioni cliniche del paziente (comorbilità, età, funzionalità renale/epatica);
la presenza di eventuali interazioni farmacologiche;
la modalità di somministrazione (frequenza, tempi, controlli);
la capacità di monitoraggio e gestione delle reazioni avverse.
Quindi, anche un farmaco orale “semplice” può rappresentare un rischio elevato in un paziente fragile o polimorbo.
Nelle RSA si somministrano farmaci orali ad alto rischio:
ansiolitici (es. Lorazepam),
antipsicotici (es. Risperidone, Quetiapina),
sedativi, antiepilettici, ipoglicemizzanti.
Ogni somministrazione richiede un giudizio clinico professionale.
Ridurre tutto a “è solo una compressa” è una semplificazione pericolosissima
2. Delega scritta ≠ trasferimento di responsabilità
La sentenza valorizza la delega scritta da parte dell’infermiere, ma questo non basta.
Nel nostro ordinamento:
l’atto sanitario è personale e non delegabile;
L’atto medico non è delegabile, così come non lo è quello infermieristico che implica responsabilità cliniche. Ogni atto sanitario è personale e non trasferibile, né giuridicamente né eticamente.
l’OSS non è una figura sanitaria e non può legalmente somministrare farmaci;
la delega ha valore organizzativo, ma nessun peso legale in caso di eventi avversi.
Il doppio standard e lo sminuire l’atto infermieristico
Qui emerge una contraddizione e un doppio standard gravissimo:
infermieri formati e abilitati, iscritti all’albo, sono stati condannati e in alcuni casi detenuti per somministrazione di farmaci senza prescrizione valida;
oggi un OSS non sanitario, senza competenze cliniche, può essere assolto per lo stesso atto, se c’è una “delega firmata”.
Questo è un doppio binario giuridico che punisce chi ha titolo e protegge chi non dovrebbe nemmeno compiere quell’atto.
È una logica di casta al contrario: chi ha responsabilità e formazione viene punito, chi non ha competenze è protetto dietro una “firma”.
Effetto collaterale: sminuire l’atto infermieristico
Non è solo questione di responsabilità legale, ma anche di rispetto e riconoscimento professionale.
Ridurre l’atto complesso della somministrazione a una semplice “delega” e una firma sminuisce il valore e la preparazione dell’infermiere.
Dietro ogni somministrazione ci sono:
conoscenze farmacologiche,
valutazioni cliniche,
monitoraggio e intervento tempestivo in caso di reazioni.
Pensare che basti una “firma” per garantire sicurezza è un’offesa alla professione.
3. Supervisione “formale” ≠ controllo reale
La sentenza sostiene che non serve la presenza fisica dell’infermiere, ma una supervisione documentata.
Ma cosa significa nella pratica?
Se l’infermiere non è presente, chi valuta se quel farmaco è opportuno? Chi interviene se il paziente ha una reazione?
La supervisione vera è clinica, non burocratica.
Il rischio: normalizzare prassi fuori controllo
In molte RSA, per carenze o pressioni, gli OSS già somministrano farmaci senza copertura legale.
Questa sentenza rischia di legittimare una prassi pericolosa senza un intervento legislativo serio.
Ricordiamo che l’unica figura abilitata legalmente alla somministrazione dei farmaci è l’infermiere.
Questa sentenza si può definire un episodio giurisprudenziale isolato, che però rischia di diventare uno scudo per risparmiare risorse a discapito della sicurezza.
Messaggio per le RSA e gli operatori
Protocollo scritto
Formazione certificata
Tracciabilità e soprattutto presenza clinica dell’infermiere
No a scorciatoie o deleghe fittizie
No a sottovalutare competenze e responsabilità
Redazione NurseNews.eu