alfio stiro Un miliardo. È la cifra che aziende ed enti previdenziali versano ogni anno a Cgil, Cisl e Uil trattenendola da stipendi e pensioni degli iscritti. Che spesso, magari senza saperlo, continuano a pagare per molti mesi anche dopo aver ritirato la loro delega al sindacato.

La maggiore risorsa economica dei sindacati nazionali sono i contributi pagati ogni anno dagli iscritti, cui vanno sommate le cosiddette quote di servizio, e cioè i quattrini raccolti con la vendita dei testi dei nuovi accordi contrattuali stampati dalle tre centrali. I lavoratori versano circa l’l% della paga base (anni fa i metalmeccanici della Cisl con un’alzata di ingegno hanno proposto di tassare anche i non iscritti quando questi beneficiano di accordi stipulati dalle tre confederazioni: non è affatto certo che scherzassero). I pensionati beneficiano di uno sconto e danno un obolo dell’ordine dei 30-40 euro. Ma la tassa non risparmia neanche i disoccupati, i cassintegrati e i lavoratori socialmente utili: l’Inps trattiene a favore dei sindacati il 3% dell’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (quella che spetta a chi nei due anni precedenti ha lavorato a singhiozzo) e l’1% della Cig ordinaria e straordinaria e del sussidio per gli Lsu. Un esperto della materia come Giuliano Cazzola, già presidente dei sindaci dell’Inps, parla di un miliardo e forse più all’anno. Una cifra impressionante. A voler fare un calcolo della serva, solo per la Cgil che ha 2,5 milioni di lavoratori iscritti e 3 milioni di pensionati, si tratterebbe di 350-400 milioni di euro l’anno.

Questa montagna di soldi, e qua sta la prima anomalia, il sindacato non deve neanche fare la fatica di raccoglierla. L’articolo 26 dello Statuto dei lavoratori del 1970 ha assegnato il compito di esattori del denaro alle aziende, che lo trattengono dalle buste paga dei dipendenti, e agli istituti di previdenza, che lo sottraggono alla fonte dalle pensioni: solo l’Inps nel 2006 ha girato 110 milioni alla Cgil, 70 alla Cisl e 18 alla Uil. Nel 1995 Marco Pannella ha tentato di far saltare il meccanismo, proponendo un referendum che abolisse la trattenuta automatica dalle busta paga. Il 12 giugno la maggioranza degli italiani s’è schierata al fianco del vecchio leader radicale. Il 57,1% ha partecipato al referendum. E 56 votanti su 100 si sono espressi per l’abrogazione dell’obbligo alla trattenuta. Un colpo durissimo per il sindacato. “Vogliono ridurci alla colletta” ha commentato acido Sergio Cofferati, all’epoca numero uno dei sindacalisti italiani. Ma il momento di sbandamento è durato poco. Cgil, Cisl e Uil hanno semplicemente deciso di ignorare l’esito della consultazione popolare. Uscita dalla porta, la trattenuta è rientrata dalla finestra: non più prevista dalla legge, è stata salvata nei contratti collettivi, con la complicità dunque degli imprenditori, che subiscono dei costi ma non hanno alcuna voglia di mettersi a menare le mani con i sindacati.

Con un buco nell’acqua è finita anche, più di recente, l’offensiva di Forza Italia. Gli uomini di Silvio Berlusconi avevano presentato un emendamento al decreto Bersani. In pratica, la delega con cui il pensionato autorizza l’ente previdenziale a effettuare la trattenuta sulla pensione, che oggi è di fatto a vita, avrebbe avuto bisogno di un periodico rinnovo. Non sia mai. I sindacati hanno fatto capire che sarebbero stati pronti a salire sulle barricate. Il governo, già nei guai per conto suo, ha fatto pollice verso. E l’emendamento è saltato.

La delega, dunque, continua a non avere una scadenza. E già questa è una faccenda ben strana. Ma l’argomento assume i contorni di un vero e proprio scandalo se si va a guardare cosa accade quando un dipendente pubblico decide che del sindacato ne ha piene le tasche e dunque non vuole più versargli la sua quota annuale. È scritto nero su bianco su un librone intitolato Prerogative sindacali e normativa di riferimento, con tanto di stemma della repubblica e intestazione della presidenza del consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica. Si legge a pagina 65: “La delega può essere revocata solamente entro il 31 ottobre di ogni anno e gli effetti della revoca decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo”. Vuol dire che se un travet si sveglia di malumore il 1° gennaio di un certo anno e decide di mandare a quel paese i sindacati continua comunque a pagargli la tessera per un altro anno. Se invece lo storico passo lo compie il 1° novembre allora il contributo lo sborsa addirittura per quattordici mesi, fino al gennaio di due anni dopo. In base a un calcolo matematico un impiegato dello stato che cancella la sua iscrizione al sindacato continua a vedersi effettuare trattenute abusive sulla busta paga, in media, per sette mesi e mezzo. Se il suo versamento annuale fosse intorno ai 100 euro, ecco che se ne vedrebbe sfilare poco meno di 60. Una truffa in piena regola, nella quale lo stato si rende complice del sindacato a danno di quelli che normalmente vengono definiti i suoi assistiti. E sulla quale nessuno, a partire dalla corte dei conti, ha mai pensato di dover alzare il velo.

La micidiale trappola non scatta solo per gli impiegati dello stato. Dal 1973 al 1998, per un quarto di secolo, ha funzionato così anche all’Inps: se la revoca veniva presentata all’istituto entro il mese di settembre il prelievo a favore del sindacato andava comunque avanti fino alla fine dell’anno; se arrivava dopo il 1° ottobre il pensionato continuava a subire la decurtazione dell’assegno mensile addirittura fino alla fine dell’anno successivo: un salasso lungo 15 mesi. Dal 1998 il prelievo forzoso è stato solo ridotto. Oggi la revoca ha effetto dall’inizio del terzo mese successivo alla data della sua presentazione. Un lasso di tempo sufficiente per il sindacato a contattare il pensionato dimissionario e convincerlo a tornare sui suoi passi. Già, perché dal 1998 al 2001 la prassi era che, appena ricevuta la revoca, l’Inps informava tempestivamente del pericolo in vista la confederazione interessata. Dal 2002, con l’arrivo di Paolo Sassi come commissario, l’Istituto non si presta più al giochino di spifferare in anticipo a Cgil, Cisl e Uil la possibile perdita di un tesserato e dei relativi contributi. Continua però a prelevare abusivamente per due-tre mesi (che possono ancora oggi arrivare fino a nove per i lavoratori autonomi agricoli) la quota sindacale sulla pensione a chi ha dato la disdetta. Eppure la procedura dev’essere piuttosto semplice, almeno a giudicare dell’esiguità del compenso che l’Inps chiede per metterla in moto. Le cifre sono contenute nella deliberazione n. 39 del consiglio di amministrazione del 5 febbraio 2002: per la cancellazione della delega l’Istituto fattura ai sindacati 2 euro e 1 centesimo. E infatti la scusa dei tempi tecnici non è solo poco credibile, ma totalmente falsa. La sfasatura temporale tra il ritiro della delega e la cessazione del prelievo è oggetto di accordi scritti (e standardizzati) tra l’Inps le diverse confederazioni. Lo rivela un documento di 5 pagine, datato 23 novembre 2006 e firmato dal direttore generale dell’Istituto, Vittorio Crecco. Si tratta della circolare n. 135, che ha per oggetto la Convenzione tra l’Inps e il Sindacato autonomo pensionati padani (Sapp) per la riscossione dei contributi associativi sulle pensioni. In allegato c’è il testo della convenzione che, al quarto comma dell’articolo 3, recita: “Nel caso in cui l’Inps riceva comunicazione direttamente dal pensionato della sua volontà di revocare la delega per la trattenuta sindacale sulla pensione, la struttura periferica dell’Inps procederà all’acquisizione della revoca, che avrà efficacia dal primo giorno del terzo mese successivo a quello in cui è pervenuta alla struttura stessa”. È la tassa da pagare per uscire dal sindacato, la cui figura in questo caso richiama alla mente la banda Bassotti più che i tre porcellini. In barba al referendum, tutto è dunque rimasto come prima.

*Tratto da L’altra casta – Stefano Livadiotti

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Alfio Alfredo Stiro nasce in Sicilia a Catania il 22/01/1970, consegue la laurea in infermieristica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania e successivamente il Master in Management delle Professioni Sanitarie. Master in osteopatia posturale presso l'universita di Pisa dipartimento di endocrinologia e metabolismo,ortopedia e traumatologia,medicina del lavoro. E scuola di osteopatia belga, Belso.ha frequentato numerosi corsi sull'emergenza, in servizio presso l’U.O. di Pronto soccorso e Ps pediatrico. Azienda Cannizzaro per l'emergenza di catania.

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