La sentenza, pienamente conforme al costante orientamento dell’Aran, rappresenta un importante baluardo in un quadro interpretativo non sempre chiaro di cui è stata oggetto, nel tempo, la clausola contrattuale relativa all’erogazione dell’indennità giornaliera prevista per il personale turnista.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27273 del 5 dicembre scorso, accogliendo il ricorso di parte datoriale, ha capovolto il giudizio della Corte d’Appello pronunciandosi definitivamente sull’atavica questione della corretta interpretazione dell’art. 44, comma 3, del CCNL comparto Sanità del 1° settembre 1995, concernente l’erogazione dell’indennità giornaliera prevista per il personale turnista. Tale pronuncia, pienamente conforme al costante orientamento dell’Aran, rappresenta un importante baluardo, in un quadro interpretativo, non sempre chiaro, di cui è stata oggetto nel tempo la clausola contrattuale dianzi citata. La questione era sorta a causa di un ricorso presentato dinanzi al tribunale di Torino da parte di alcuni infermieri turnisti in servizio presso la ASL. L’organo giudicante accoglieva le loro ragioni e la sentenza, impugnata dall’Azienda, veniva confermata anche dalla Corte d’Appello di Torino che, quindi, riteneva corretta l’attribuzione dell’indennità giornaliera, di cui all’art. 44 del CCNL sopra citato, anche in relazione al sesto giorno non lavorato.
Prima di entrare più in dettaglio e analizzare le singole fasi della vicenda, è necessario focalizzare l’attenzione sul quadro normativo e contrattuale di riferimento.
Preliminarmente, l’art. 22 della legge n. 724 del 1994 dispone che “l’orario di servizio nelle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma2, del d.lgs. n. 29/93 si articola su cinque giorni settimanali, anche nelle ore pomeridiane. Sono fatte salve in ogni caso le particolari esigenze dei servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana nonché quelle derivanti dalla necessità di assicurare comunque la funzionalità delle strutture di altri uffici pubblici con un ampliamento dell’orario di servizio anche nei giorni non lavorativi”. Tale previsione legislativa si applica anche al Servizio sanitario nazionale, ma per avere un quadro generale è indispensabile analizzare anche le regole stabilite dalla contrattazione collettiva sull’orario di lavoro nel comparto Sanità.
La disposizione contrattuale, oggetto del contendere, dispone che “Al personale del ruolo sanitario appartenente alle posizioni funzionali corrispondenti al V, VI e VII livello retributivo ed operante in servizi articolati su tre turni, compete una indennità giornaliera, pari a L. 8.500. Detta indennità è corrisposta purché vi sia una effettiva rotazione del personale nei tre turni, tale che nell’arco del mese si evidenzi un numero sostanzialmente equilibrato dei turni svolti di mattina, pomeriggio e notte, in relazione al modello di turni adottato nell’azienda o ente. L’indennità non può essere corrisposta nei giorni di assenza dal servizio a qualsiasi titolo effettuata, salvo per i riposi compensativi. In contrattazione decentrata, nei limiti delle disponibilità del fondo di cui all’art. 43, comma 2 punto 2) potranno essere individuati altri operatori, il cui orario di lavoro, per obiettive esigenze dell’azienda o ente, debba essere articolato su tre turni. A tale personale compete l’indennità giornaliera prevista dal presente comma“.
Pertanto la contrattazione collettiva di livello nazionale, frutto della volontà delle parti sindacali e datoriali, ha stabilito una tutela che si materializza nel riconoscimento dell’indennità di turno per le giornate di riposo compensativo, escludendola nelle giornate di assenza. Ciò ha comportato che vi fosse il dubbio circa l’esatta qualificazione del “sesto giorno non lavorato” che si genera per effetto della concentrazione dell’orario contrattuale su cinque giorni e si configura come riposo compensativo. La Suprema Corte, individuata la ratio dell’indennità, quale ristoro a fronte del disagio derivante dall’effettuazione della prestazione lavorativa su turni, ne correla, con un rapporto causa-effetto, l’erogazione all’effettiva prestazione di servizio con l’unica eccezione della giornata di riposo compensativo. Tale giornata, infatti, è un’assenza dovuta al recupero della maggior prestazione settimanalmente resa per coprire turni giornalieri di otto ore ed è di evidenza matematica poiché, in tale ipotesi, viene resa una prestazione lavorativa su 40 ore contro le 36 contrattualmente previste. Diversamente si verificherebbe uno squilibrio del sinallagma contrattuale sbilanciando la prestazione, resa dal lavoratore, rispetto alla controprestazione, resa da parte datoriale con l’erogazione della retribuzione.
L’orario di lavoro dei ricorrenti era articolato sulla base di tre turni programmati di otto ore giornaliere per cinque giorni settimanali con la conseguenza che l’attività lavorativa, a fronte di un orario di 36 ore e non di 40 settimanali, di fatto dovesse risultare sempre prolungata di 48 minuti al giorno. Per tale motivo i lavoratori avevano chiesto che la giornata del sabato, riposo compensativo non lavorato, venisse retribuita con inclusione dell’indennità giornaliera prevista per i lavoratori turnisti, spettante per effetto dell’articolazione dell’orario settimanale su cinque giorni lavorativi. Bisogna evidenziare, però, che la corretta definizione di “riposo compensativo” non era sfuggita neppure alla Corte d’Appello, laddove l’ha inquadrata quale “compenso” di una prestazione eccedente quella contrattualmente prevista, anche se poi erroneamente la configurava “sesto giorno non lavorato” trattandosi, invece, di una mera conseguenza della distribuzione del normale orario di lavoro settimanale su cinque giorni e non su sei. Infatti, in questo caso, come correttamente sostenuto dall’Azienda, il sesto giorno non lavorato non svolge, diversamente dal riposo compensativo, la funzione di riequilibrare eccedenze della prestazione lavorativa. In realtà la Corte d’Appello, nella parte in cui prevede che l’indennità possa essere erogata nei giorni di riposo compensativo, ha dato un’interpretazione dell’art. 44 comma 3 del CCNL del 1° settembre 1995 non corrispondente alla volontà delle parti contrattuali. Per tale motivo l’Azienda ha sostenuto la violazione e falsa applicazione dell’art. 44 comma 3 del CCNL 1 settembre 1995 del comparto Sanità in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c. Tale eccezione assume particolare rilevanza atteso che “interpretare il contratto vuol dire accertare il significato di ciò che le parti hanno disposto, ossia accertare il contenuto sostanziale del contratto” per cui compito essenziale dell’interprete è dunque quello di ricercare la comune intenzione delle parti, come previsto dalla prima regola legale interpretativa (art. 1362 c.c.). Pertanto l’Azienda, tra i motivi del ricorso, ha invocato anche quello relativo alla “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” espressamente indicato dal legislatore con l’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. Infatti, oltre al livello nazionale di contrattazione collettiva, anche il contratto integrativo aziendale, relativo agli anni 1999-2001, configura il riposo compensativo scaturente dal maggior orario settimanale prestato di quaranta ore in turni programmati, in luogo delle trentasei teoricamente previste, alla differente articolazione dell’orario settimanale su cinque giorni lavorativi anziché su sei come normalmente accade. L’Azienda, peraltro parte datoriale che ha stipulato il contratto integrativo aziendale e quindi “interprete altamente qualificato” di tale disposizione, ha ben spiegato la reale portata dell’accordo, utilizzando anche un ragionamento in parallelo tra i due livelli di contrattazione, nazionale e integrativo. Infatti ha argomentato che la disposizione contenuta nella contrattazione integrativa “prende in considerazione proprio una situazione analoga a quella dei lavoratori turnisti, di cui all’art. 44 comma 3 del CCNL 1994-1997 che prestano la loro attività in turni di otto ore su cinque giorni settimanali, così superando l’orario contrattualmente previsto di trentasei ore e maturando, conseguentemente, il diritto a riposi compensativi di cui i dipendenti hanno pacificamente beneficiato, mentre nessun cenno viene fatto alla diversa situazione conseguente all’articolazione dell’orario su cinque giorni invece che su sei con la conseguenza che la giornata di sabato non può che essere qualificata come mero giorno non lavorato non dovendo compensare una effettiva eccedenza di orario in relazione ad una prestazione resa non oltre il limite contrattualmente previsto”. La vexata quaestio, quindi, è tutta nella esatta qualificazione della giornata del sabato, lavorata o non lavorata, nel caso dell’articolazione dell’orario su cinque giorni lavorativi poiché soltanto nella prima ipotesi darebbe diritto al riconoscimento dell’indennità giornaliera. Infatti, secondo i ricorrenti non vi sarebbe alcuna differenza tra il sesto giorno, destinato a compensare il lavoro svolto ogni giorno nel corso della settima ora e dodici minuti che permette di pervenire alle trentasei settimanali, e di riposi compensativi concessi in relazione allo svolgimento di ulteriore attività lavorativa giornaliera nella restante parte dell’ottava ora, per pervenire alle quaranta ore settimanali. E’ di tutta evidenza il vulnus di tale ragionamento che azzererebbe di fatto la differenza tra personale turnista e non turnista perché in applicazione di tale criterio l’indennità dovrebbe essere erogata anche per il personale che osserva un orario settimanale di trentasei ore ripartite su cinque giorni lavorativi.
Vale la pena, altresì, sottolineare che il riposo compensativo non deriva da fonte legislativa ma è un istituto tipicamente contrattuale ed è l’approfondimento delle previsioni collettive, che ad esso fanno riferimento, che conduce a dare una qualificazione corretta della sua reale portata. Pertanto, sul punto il fondamentale riferimento è costituito dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto Sanità che si sono succeduti nel tempo. Ad esempio, l’art. 20, comma 2, del CCNL del 1° settembre 1995, pur non occupandosi esplicitamente del riposo compensativo, costituisce un elemento non trascurabile laddove prevede che, qualora il riposo settimanale non possa essere fruito nella giornata domenicale, deve essere fruito “di norma entro la settimana successiva, in giorno concordato fra il dipendente ed il dirigente responsabile della struttura, avuto riguardo alle esigenze di servizio“. Inoltre tale disposizione contrattuale, ai commi 4 e 5, chiarisce che la coincidenza della festività nazionale e del Santo Patrono con la domenica non danno invece luogo a riposo compensativo salvo per quei dipendenti che in tale giornata prestino la loro opera per assicurare il servizio. Il successivo art. 34, comma 6, del CCNL comparto Sanità del 7 aprile 1999 stabilisce che “le prestazioni di lavoro straordinario possono essere compensate a domanda del dipendente con riposi sostitutivi da fruire, compatibilmente con le esigenze di servizio, nel mese successivo”. Successivamente l’art. 9 del CCNL 20 settembre 2001, recante il titolo “Riposo compensativo per le giornate festive lavorate”, ad integrazione di quanto previsto dall’art. 20 del CCNL 1 settembre 1995 e dall’art. 34 del CCNL del 7 aprile 1999, stabilisce che l’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale dà titolo, previa richiesta del dipendente e da fruirsi entro trenta giorni, a equivalente riposo compensativo o all’alternativa del corrispondente compenso a titolo di straordinario con la maggiorazione prevista per la prestazione lavorativa straordinaria festiva. Ma ciò che qui più rileva è che tale disposizione continua prevedendo che “l’attività prestata in giorno feriale non lavorativo, a seguito di articolazione di lavoro su cinque giorni, dà titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario non festivo”. Anche nel caso della disciplina delle ferie la contrattazione collettiva prevede che nell’ipotesi di distribuzione dell’orario settimanale di lavoro su cinque giorni, il sabato è considerato non lavorativo. Vale la pena soffermarsi su tali disposizioni contenute dalla contrattazione collettiva poiché sono la prova tangibile che le parti hanno considerato del tutto analogamente le due articolazioni dell’orario di lavoro settimanale sia nel caso siano distribuite su sei giorni sia nel caso siano distribuite su cinque giorni, qualificando, in tal caso, il sesto giorno come non lavorativo e non come riposo compensativo, correlandone anche una specifica disciplina del numero delle giornate di ferie spettanti. Appare, quindi, dirimente considerare che in tale ipotesi il sesto giorno deve essere considerata una giornata destinata normalmente al recupero psico-fisico, salvo casi eccezionali nei quali viene riconosciuto il trattamento destinato al lavoro prestato oltre l’ordinario mentre, viceversa, il riposo compensativo è quella giornata nella quale normalmente si dovrebbe lavorare ma può essere destinata al riposo al fine di compensare prestazioni rese precedentemente. A tal proposito merita un cenno anche quanto riportato, nello stesso periodo di riferimento, nella circolare n. 17 del 16 aprile 1999 del ministero dell’Economia e delle Finanze, Ragioneria generale dello Stato, che all’allegato 2 considera esattamente equivalenti sia la ripartizione dell’orario settimanale su 5 sia su 6 giorni lavorativi, con conseguenti differenti ricadute riguardo alle ferie e festività. In altri termini la circolare sancisce importanti principi di metodologia per il corretto calcolo dei giorni di assenza alcuni dei quali direttamente importabili al caso in questione che si sintetizzano di seguito: totale equivalenza della distribuzione dell’orario settimanale su 5 o 6 giorni, nell’ipotesi di settimana lavorativa su cinque giorni “i giorni lavorativi annui“ corrispondono ai giorni dell’anno solare al netto dei sabati oltre che ovviamente delle domeniche e delle altre festività civili e religiose. A nulla vale l’osservazione che potrebbe essere avanzata a sostegno di una diversa interpretazione dovuta al fatto che nell’allegato 2, sopra menzionato, il prospetto di riferimento al comparto Sanità prenda in considerazione soltanto l’articolazione su sei giorni lavorativi. Infatti, da una lettura sistematica dell’intero documento emerge che la tipologia utilizzata nell’allegato, riferita solo all’articolazione su sei giorni lavorativi, è dovuta alla maggior diffusione (da riferirsi agli anni ‘90) tra le varie amministrazioni e che i principi generali riportati in premessa alla circolare del MEF fanno espresso riferimento alla eventuale diversa distribuzione che, in tal caso, dovrà comunque “rapportare le assenze del personale alla durata oraria convenzionalmente indicata nel prospetto stesso“. Attualmente, peraltro, la situazione è capovolta, in quanto sicuramente più diffusa è la ripartizione dell’orario settimanale su 5 giorni, essendo ormai più utilizzato il modello della “settimana corta”. Pertanto, tali considerazioni dovrebbero valere tanto per il sesto quanto per il settimo giorno non lavorato. Va da sé, infatti, che l’unica differenza tra il riposo del sesto giorno ed il settimo giorno è riconducibile al fatto che il secondo deriva dal dettato costituzionale a tutela del recupero psico-fisico, mentre il godimento del primo ha la sua sedes materiae nella contrattazione collettiva, ed è, quindi, rimesso alla volontà delle parti in una logica di flessibilità aziendale maggiormente rispondente alle esigenze organizzativo-funzionali necessarie a rendere servizi alla collettività. La contrattazione di primo livello si preoccupa però di specificare chiaramente che l’indennità che compensa il maggior disagio non spetta nel caso di assenza dal servizio e spetta invece, in via del tutto eccezionale, in caso di riposo compensativo. Tale collocazione, tra le altre cose, impone un’interpretazione restrittiva poiché non può prescindere dalla valutazione dei costi contrattuali contenuti nella relazione illustrativa di accompagnamento al contratto collettivo a cui tutte le disposizioni soggiacciono in sede di verifica dinanzi alla Corte dei conti propedeutica alla vera e propria stipula. Un ulteriore elemento di riflessione, a sostegno della tesi che si va qui dimostrando, è la dicitura riportata nell’art. 44 laddove qualifica il sesto giorno come “giorno non lavorativo” e non come riposo compensativo. In altre parole, se la reale volontà delle parti contrattuali fosse stata quella di riconoscere l’indennità in questione anche per il sesto giorno non lavorato, lo avrebbero esplicitato analogamente a quanto hanno fatto nell’art. 19 dianzi esaminato. Ne discende che proprio il fatto che non via sia espressa indicazione in tale senso è la dimostrazione che non vi era alcuna volontà di attribuire l’indennità invece prevista in caso di assenza dal lavoro nel sesto giorno, derivante dalla ripartizione dell’orario settimanale su cinque giornate lavorative. Viceversa, solo per i giorni suddetti che non sono né festivi, né assimilabili a giorni di riposo settimanale, ma costituiscono un vero e proprio tertium genus, va erogata l’indennità di turno. In conclusione, solo per tale fattispecie esiste un nesso causale tra la giornata di riposo e l’esigenza organizzativa dei turni a copertura delle 24 ore giornaliere. Appare, quindi, non condivisibile il ragionamento della Corte d’Appello poiché, di fatto, snatura la reale portata dell’indennità ex art. 44 del contratto che, si ribadisce, è riconosciuta solo a fronte del maggior disagio del lavoro prestato per turni a copertura dell’intero arco delle 24 ore, dovuto all’esigenza di erogare un servizio con continuità.
La stessa Corte di Cassazione ha ritenuto che il contrasto giurisprudenziale con la precedente sentenza n. 5710 del 2009 fosse in realtà soltanto apparente poiché in quest’ultima la Suprema Corte si era limitata ad affermare che, sulla base dell’art. 2109 c.c. e ss. e dell’art. 36 della Costituzione, anche allorquando l’orario di lavoro sia distribuito su cinque giorni, un solo giorno della settimana è considerato festivo E’ del tutto evidente che ciò esula dalla questione oggetto della presente disamina. Anche con la sentenza n. 8605 del 2002 la Cassazione, in materia di personale appartenente alle Ferrovie, si era occupata di una questione solo per alcuni aspetti analoga e comunque riferita ad altro dettato contrattuale. Peraltro, esistono diverse pronunce della medesima Suprema Corte (ex multis n. 2711 del 1984, n. 593 del 1985 e n. 318 del 1986 ) che si basano sulle stesse argomentazioni utilizzate nella recente sentenza n. 27273 del 5 dicembre scorso. Questi precedenti, anche se datati, costituiscono comunque un valido riferimento, poiché la Corte di Cassazione ha escluso il diritto ad un quid pluris di retribuzione giornaliera ai sensi dell’art. 2 della legge 27 maggio 1949 n. 260 “nel caso in cui resti immutato il normale orario di lavoro settimanale ed esso sia concentrato in cinque giorni della settimana, rimanendo il sesto non lavorativo (attuazione della settimana corta) ove una delle festività civili coincida con tale giorno”, sottolineando che in tale ipotesi “il sabato, ancorché non lavorativo, non è festivo, né è configurabile come riposo compensativo”. Da ultimo, a completamento della giurisprudenza formatasi sull’argomento è utile citare anche la sentenza n. 1836 del 26 gennaio 2009 che, affrontando il tema della possibile inclusione dell’indennità in argomento nella “normale retribuzione” da prendere a riferimento per la definizione del compenso spettante durante la fruizione delle ferie, ha stabilito, analizzata la volontà della disciplina collettiva, che le parti hanno inteso correlare l’indennità de qua soltanto allo svolgimento della effettiva prestazione lavorativa, sempre con l’esclusione delle giornate di riposo dovute alla speciale articolazione dell’orario di lavoro tale da assicurare la continuità del servizio per le 24 ore giornaliere.
Aran