Di Carlo Palermo (vicesegretario nazionale vicario Anaao Assomed)
Il Quaderno della Fiaso dedicato ad una Survey promossa per indagare l’impatto prodotto dalla Legge 161/2014 sulle aziende del SSN, conferma le previsioni fatte a suo tempo dall’Anaao Assomed in merito alla necessità di procedere ad una nuova stagione di assunzioni di personale medico ed infermieristico per poter garantire in Italia la piena applicazione della direttiva europea “concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”, recepita in Italia con il D.lgs 66/2003, che statuisce le condizioni minime che ogni Stato aderente è tenuto a rispettare per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.
La conferma deriva dai risultati illustrati e dalle proposte avanzate nel Quaderno.
Innanzitutto, la Survey evidenzia come in Italia una rilevante parte delle aziende sanitarie che hanno risposto al questionario abbia presentato criticità, classificate ad alto o basso grado, in conseguenza dell’applicazione della normativa europea sui riposi. Si deve, però, considerare che l’indagine presenta un bias non trascurabile essendo le aziende sanitarie del sud e delle isole scarsamente rappresentate: solo quattro aziende hanno partecipato all’indagine, appena il 6% del campione. Pertanto, la percentuale di aziende (10%) che ha denunciato significative criticità è ampiamente sottostimata, tenuto conto che proprio dal meridione dell’Italia arrivano all’osservatorio nazionale dell’Anaao un numero considerevole di segnalazioni di mancato rispetto della normativa europea sui riposi.
Del resto, quasi tutte le regioni del sud Italia in questi ultimi anni sono state sottoposte a rigidi piani di rientro con blocco del turn over e non c’è bisogno di prolungarsi ulteriormente su cosa questo abbia determinato in termini di dotazioni organiche nelle strutture ospedaliere.
Ciò che impressiona, e che tradisce nello stesso tempo la difficoltà in cui si dibattono le aziende sanitarie, sono soprattutto quelle che vengono definite “Proposte a Aran e al legislatore nazionale e regionale a tutela del lavoro e della funzionalità del SSN”. Siamo di fronte ad una pesante richiesta di deroghe strutturali che investono la durata minima del riposo giornaliero che si vorrebbe ridotta ad 8 ore, la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, le figure professionali da escludere dalle tutele, in particolare dirigenti medici e sanitari responsabili di struttura complessa, struttura semplice ed incarico di alta professionalità, ma anche i servizi e le attività da escludere dal calcolo orario per i riposi, come formazione obbligatoria, ricerca e didattica, per arrivare addirittura alla richiesta di una franchigia di 80 ore annuali pro-capite da utilizzare per tutte le attività lavorative dovute ad esigenze assistenziali o organizzative a causa delle quali non è stato possibile rispettare le disposizioni sull’organizzazione dell’orario di lavoro e sui riposi. Per rendere chiaro il significato della proposta, si consideri che in una unità operativa composta da 10 medici per 6 mesi l’anno sarebbe possibile organizzare turni mattino/notte o notte/mattino nel più completo disprezzo non solo dell’articolo 3 della direttiva 2003/88/Ce (Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive) ma, a mio parere, anche della recente legge in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita. Infatti, i pazienti potrebbero trovarsi in sala operatoria chirurghi senza un adeguato riposo e recupero della capacità psico-fisiche ed in caso di evento avverso sarebbe difficile rifugiarsi dietro una deroga strutturale non prevista dalla normativa europea.
Colpisce, in definitiva, la sottovalutazione dei contenuti della direttiva europea 2003/88/Ce e di quanto finora stabilito dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, in particolare con le sentenze “Simap”, “Jaeger” e con la sentenza C189/14 del 23 Dicembre 2015.
Forse è utile richiamare alcuni principi generali dettati dalla direttiva europea e dalla giurisprudenza della CGUE.
1)Il rispetto degli orari di lavoro e dei riposi è vigente in tutti gli Stati dell’Unione Europea e, soprattutto, ne viene disposto l’automatico adeguamento nel corpo delle leggi del singolo Stato, indipendentemente dall’atto formale del suo recepimento. Sono pertanto prive di efficacia le leggi o le normative dello Stato, pregresse e a maggior ragione successive, che in qualche modo ne ostacolino la corretta applicazione o neghino l’esigibilità̀ delle tutele minime previste. Infatti, nelle direttive europee, a partire dagli anni ’90, sono inserite clausole di “non regresso”: “In nessun caso l’attuazione della presente direttiva costituisce una ragione sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori rientranti nel suo ambito di applicazione“.
2)La direttiva si applica a tutti i settori pubblici e privati (articolo 1, punto 3) e non esclude la dirigenza medica e sanitaria dalle tutele. Questo aspetto è ribadito nella documentazione inviata al Governo italiano dalla Commissione europea per l’avvio della procedura d’infrazione per il mancato rispetto della direttiva, sospesa come è noto dall’emanazione della legge 161/2014, ed è stato anche oggetto di una risoluzione del Parlamento europeo in data 17/12/2008 con cui si individua la tipologia dei dirigenti a cui non si applicano le tutele sui riposi: direttori generali, dirigenti direttamente ad essi subordinati, dirigenti nominati dal Consiglio di amministrazione di un’azienda. Solo i direttori sanitari e i direttori di dipartimento corrispondono a tali caratteristiche.
3)Viene definito riposo adeguato “Il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano la organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute a breve o a lungo termine (Articolo 2 punto 9, direttiva 2003/88/Ce).
4)“Il miglioramento della sicurezza, dell’igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico” (punto (4) premesse direttiva 2003/88/Ce).
5)Come orario di lavoro viene inteso: “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali” (Articolo 2, punto 1 della direttiva). E’ più che evidente l’impossibilità di escludere dal calcolo la formazione obbligatoria, la ricerca o la didattica anche considerando le attuali disposizioni contrattuali sull’orario di lavoro.
6)La giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto carattere eccezionale alle deroghe previste dall’art. 17 della direttiva 2003/88/Ce, stabilendo che esse “devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tali deroghe permettono di proteggere”. Dopo la deroga il lavoratore ha in ogni caso diritto a periodi equivalenti di riposo compensativo. Tali periodi devono sottrarre il lavoratore ad ogni obbligo nei confronti del datore, così da consentirgli di “dedicarsi liberamente e senza interruzioni ai suoi propri interessi al fine di neutralizzare gli effetti del lavoro sulla sicurezza e la salute dell’interessato”. I periodi equivalenti devono essere costituiti da un numero di ore consecutive corrispondenti alla riduzione del riposo praticata e devono essere collocati immediatamente a ridosso del periodo di lavoro che intendono compensare e comunque prima del turno successivo, “al fine di evitare uno stato di fatica o di sovraccarico del lavoratore dovuti all’accumulo di periodi di lavoro consecutivi”. E’ evidente come tutto ciò determini problematiche aggiuntive per la gestione dell’orario “derogato”, soprattutto in condizioni organizzative precarie, rispetto al modello ordinario di tutela previsto dalla direttiva basato su dotazioni organiche adeguate.
L’intenzione di ridurre la durata del riposo giornaliero, di escludere parte rilevante della dirigenza medica dalle tutele, di non considerare alcune attività nel conteggio dell’orario di lavoro ai fini dell’applicazione della direttiva europea sui riposi come quelle formative o gestionali, appare una forzatura spregiudicata, basandosi più su presupposti economici che giuridici. Non è brandendo certe armi con intenti velatamente ricattatori che si potrà arrivare ad un accordo su un tema delicato come quello del “riposo europeo”.
In un eventuale scontro davanti alla Corte di Giustizia Ue le Regioni e le aziende sanitarie sono perdenti in partenza e rischiano di pagare pesanti multe e/o indennizzi, stante l’attuale giurisprudenza europea (vedi in particolare le sentenze Fuss 1 e 2). I tecnici regionali più avveduti questo lo sanno. Ai contratti di lavoro nazionali è demandato il compito importante di trovare una equilibrata applicazione ad una normativa introdotta in Europa nel lontano 1993 e ancora largamente disapplicata in Italia. Ma l’attesa non potrà essere infinita e di fronte a proposte inaccettabili l’unica strada aperta rimarrà quella della denuncia alle Direzioni Territoriali del Lavoro, della ripresa dell’iter della procedura d’infrazione presso la Commissione Europea e della azione giudiziaria presso la Corte di Giustizia Ue.
Il sole 24 ore sanità.