In caso di infortunio sul lavoro, se si accerta la sussistenza di fattori patologici preesistenti non aventi origine professionale, il giudice deve, anche di ufficio, fare applicazione dell’art. 79 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, secondo cui il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro causata da infortunio, quando risulti aggravata da inabilità preesistenti derivanti da fatti estranei al lavoro, deve essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti inabilità, e deve essere calcolata secondo la cosiddetta formula Gabrielli. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12629 del 18 giugno 2015.

IL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato il diritto di una lavoratrice alla rendita del 23% per inabilità da infortunio e condannato l’INAIL al pagamento delle differenze sui ratei maturati con gli interessi legali.
La Corte territoriale, per quel che qui interessa, ha precisato che la donna chiedeva il riconoscimento del diritto alla maggior rendita per infortunio nella misura del 25%.


In particolare, il CTU nominato aveva precisato che non vi era dubbio che, nella valutazione del danno, dovesse tenersi conto pure delle lesioni derivate da un infortunio extralavorativo che aveva trovato la sua causa efficiente, e non solo occasionale, negli esiti di un infortunio lavorativo di circa 10 anni prima; il quadro complessivo di riduzione delle attitudini lavorative dell’assicurata era valutabile nella misura del 23%, sin dall’epoca della fase amministrativa; ne conseguiva, secondo i giudici, che si doveva considerare priva di fondamento la domanda con la quale la donna aveva chiesto il riconoscimento della maggiore misura di inabilità complessiva pari a 33%, in base al duplice erroneo presupposto della possibilità di contestare, per la prima volta, il danno originario (calcolato al 20%, applicando la formula Gabrielli) e di applicare nuovamente la formula Gabrielli al danno del 23%, senza considerare che tale percentuale è stata individuata dal CTU come complessiva per tutti gli infortuni lavorativi ed extralavorativi subiti dalla assicurata.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice inabile, in particolare sostenendo che sia il CTU sia la Corte d’Appello hanno riconosciuto un aggravamento del danno infortunistico dal 14% al 23% a causa dell’evento traumatico extralavorativo etiologicamente collegato all’infortunio sul lavoro avvenuto 10 anni prima; una volta riscontrato il suddetto aggravamento avrebbe dovuto continuare ad applicarsi, anche nel procedimento di revisione, la c.d. formula Gabrielli, in considerazione del preesistente danno extralavorativo del 30%, quindi l’accertato danno infortunistico del 23% avrebbe dovuto essere determinato nella misura di 23/70, pari a 32,857%, che si arrotonda a 33%; il CTU non avrebbe proceduto a tale valutazione finale, perché non gli era stato chiesto di farlo, ma la sussistenza del danno preesistente e aggravante era pacifica.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla lavoratrice. In particolare, come evidenziato più volte dalla Suprema Corte, in caso di infortunio sul lavoro, se si accerta la sussistenza di fattori patologici preesistenti non aventi origine professionale, il giudice deve, anche di ufficio, fare applicazione dell’art. 79 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, secondo cui il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro causata da infortunio, quando risulti aggravata da inabilità preesistenti derivanti da fatti estranei al lavoro, deve essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti inabilità, e deve essere calcolata secondo la cosiddetta formula Gabrielli – espressa da una frazione avente come denominatore la ridotta attitudine preesistente e come numeratore la differenza tra quest’ultima (minuendo) ed il grado di attitudine al lavoro residuato dopo l’infortunio (sottraendo) – senza che abbia rilievo la circostanza che l’inabilità preesistente e quella da infortunio incidano sullo stesso apparato anatomo-funzionale.

L’applicazione della suddetta disposizione – effettuabile anche d’ufficio, ove il CTU non ne abbia tenuto conto – è finalizzata – previa verifica della reale sussistenza dei suddetti fattori patologici preesistenti – ad ottenere un calcolo del grado di riduzione dell’attitudine al lavoro che sia il più possibile corrispondente al danno effettivamente subito dal lavoratore.

E’, peraltro, evidente – precisa la Suprema Corte – che tale meccanismo non può essere applicato all’infinito – come ipotizzato dalla lavoratrice – nel senso che, sulla base di una interpretazione letterale e logico-finalistica del citato art. 79, si desume che esso è destinato ad operare al solo fine di tenere conto di aggravamenti della inabilità preesistenti (rispetto all’infortunio) e derivanti da fatti estranei al lavoro che non siano già stati presi in considerazione in precedenza (come, invece, è avvenuto nella presente fattispecie).

Del resto, diversamente, verrebbe a determinarsi un quadro complessivo di riduzione delle attitudini lavorative divergente – per eccesso – dalla realtà.

Ne consegue il rigetto del ricorso.
Corte di Cassazione – Sentenza N. 12629/2015<a


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Alfio Alfredo Stiro nasce in Sicilia a Catania il 22/01/1970, consegue la laurea in infermieristica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania e successivamente il Master in Management delle Professioni Sanitarie. Master in osteopatia posturale presso l'universita di Pisa dipartimento di endocrinologia e metabolismo,ortopedia e traumatologia,medicina del lavoro. E scuola di osteopatia belga, Belso.ha frequentato numerosi corsi sull'emergenza, in servizio presso l’U.O. di Pronto soccorso e Ps pediatrico. Azienda Cannizzaro per l'emergenza di catania.

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