Roma, 23 mar. – Il sindacato Nursing Up invita a una riflessione pubblica sul bando della Protezione civile per reclutare medici da destinare alle regioni più colpite dal Coronavirus e sul fatto che non vi sia alcuna traccia di un bando per gli infermieri, nonostante la drammatica situazione di carenza attualmente aggravata dall’emergenza. Forse per i professionisti sanitari non ci sono soldi? Attendiamo fiduciosi. Intanto la risposta alla chiamata per il reperimento di 300 medici ha avuto una straordinaria partecipazione, questo è vero, ma non si parli di volontari: il volontariato è altra cosa. Sulla questione occorre fare chiarezza. Soprattutto se, mentre lo facciamo, nelle nostre menti aleggia l’importo risibile che le aziende sanitarie hanno messo a disposizione di quegli infermieri destinati ai reparti Covid19, con i quali intendono stipulare contratti di collaborazione a tempo. Ma vediamo di cosa stiamo parlando.

Il bando per il reclutamento di 300 medici prevede che, se si tratta di personale in servizio presso le Asl, gli venga garantito: lo stipendio che avrebbe percepito presso l’Asl di provenienza (da 2.800 a 5.200 euro netti al mese); un bonus esentasse, pari a 200 euro al giorno (circa 5.200 euro netti al mese); l’alloggio da parte delle regioni; il rimborso spese per gli spostamenti dal domicilio all’ospedale.

Ebbene, volendo fare una sommatoria basata su valori medi ma plausibili il professionista interessato, per ogni mese di servizio, percepirà dagli 8.000 ai 10.000 euro netti, ma tale importo è destinato ad aumentare se si tratta di medici che hanno già fatto carriera e quindi partono con uno stipendio da dipendente più alto di quello che calcoliamo noi, che è pari a circa 2.800 euro al mese. Insomma parliamo di compensi netti che, se si volessero computare al lordo, come accade per quelli degli infermieri e degli altri dipendenti, corrisponderebbero a circa 13.500 euro lordi, ed anche più, perché dipende dagli scaglioni Irpef di riferimento. In altre parole, che si tratti di 10.000 euro netti o 13.500 lordi al mese. A casa nostra queste le chiamiamo prestazioni professionali retribuite che di volontario hanno ben poco, a meno che con il termine “medico volontario” non si voglia far riferimento alla discrezionalità di presentare o meno domanda.

Ora, nessuno vuole dire se l’importo di cui parliamo è basso o alto, nessuno vuol fare paragoni tra categorie professionali con la volontà di asserire che lo stipendio dei medici debba essere identico a quello di altri professionisti che quotidianamente rischiano la propria vita a contatto con pazienti altamente infettivi. Ma ci corre l’obbligo di sottolineare alcuni aspetti della questione. Agli infermieri lombardi, con il decreto n. 3179 del 10/3/2020, che ha autorizzato l’emissione degli avvisi pubblici per l’emergenza Covid19, è stato previsto un compenso orario di 30 euro lordi, solo quelli, da assoggettare anche a tassazione. Inoltre per gli infermieri non ci sono stati, come per i medici, bandi della Protezione civile che prevedono, oltre al mantenimento dello stipendio che già percepiscono, la corresponsione di lauti bonus esentasse. Agli infermieri che hanno paura di tornare a casa loro perché temono di infettare i propri cari, e che sono costretti a prendere in affitto a proprie spese stanze vicine agli ospedali dove isolarsi per un rischio che dipende esclusivamente dal servizio che svolgono, nessuno garantisce l’alloggio, come invece la Protezione civile fa con i medici. E nessuno gli rimborsa le spese per gli spostamenti dal domicilio all’ospedale.

In pratica a un infermiere che svolge la propria attività in un reparto Covid19, e che per 24 ore su 24 rischia di essere contagiato perché impiegato nell’assistenza continuativa e che dopo 6 mesi di contratto (alle lunghe alla fine dell’emergenza ma comunque non oltre l’anno 2020) si troverà disoccupato, viene corrisposto un lauto compenso di lavoro “autonomo”, al lordo delle tasse e sempre se lavora per sei ore al giorno e per 26 giorni al mese, pari a circa 4.680 euro che, una volta detratte le tasse e i contributi previdenziali diventano poco più di 3.000 euro. Nessuno gli fornirà l’alloggio, tanto meno il rimborso delle spese di viaggio dal domicilio all’ospedale come avviene per i medici, e nemmeno una pensione decente, visto che non versa certo i contributi nella gestione AGO (Assicurazione generale obbligatoria).

Cosa dire? Ci chiediamo anche cosa pensano di quello che accade gli organi sussidiari dello Stato, quelli che, oltre agli interessi pubblicistici dei quali sono portatori, dovrebbero presiedere alla tutela della nostra dignità professionale. Domandiamo loro se non sia il caso di fermarsi un attimo e riflettere, prima di continuare a chiedere a questa politica incompetente la creazione di ulteriori e più complessi percorsi di specializzazione universitari oppure figure infermieristiche innovative da inserire nell’organizzazione sanitaria. Non sarebbe il caso di pretendere prima di tutto e a bocce ferme la doverosa valorizzazione economica della nostra professionalità attuale?

Tutto questo si potrebbe realizzare semplicemente sostenendo i sindacati degli infermieri nella costante lotta che ogni giorno intraprendono verso questo obiettivo, nel rispetto dei rispettivi ruoli e nella stessa maniera con cui si confrontano tra loro le istanze rappresentative dei medici ad ogni livello. Non chiediamo certo che gli organi sussidiari dello Stato si occupino degli aspetti contrattuali, quella è nostra competenza e peraltro gli è vietato dalla legge, ma è evidente che una pessima valorizzazione economica delle attività professionali della categoria impatta in maniera dilaniante sulla dignità della professione e sull’elevato livello delle garanzie che alla stessa viene chiesto di mettere a disposizione del cittadino.

Ci troviamo purtroppo in un contesto sociale pregno di politicanti miopi e incompetenti, un sistema schizofrenico che se da un lato ha prodotto norme per la formazione di dottori in infermieristica, di dottori magistrali e di ricerca, professionisti di riconosciuta competenza nel panorama sanitario italiano ed internazionale, dall’altro ci vessa con compensi che restano vergognosi anche in momenti di emergenza come quelli che stiamo vivendo, durante i quali siamo proprio noi che, come e più di ogni altro, mettiamo a repentaglio la nostra vita combattendo contro un nemico pericoloso ed invisibile con l’unico obiettivo di tutelare la salute pubblica. Cosa aggiungere? In questo momento ci piacerebbe essere tutti volontari.

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Alfio Alfredo Stiro nasce in Sicilia a Catania il 22/01/1970, consegue la laurea in infermieristica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania e successivamente il Master in Management delle Professioni Sanitarie. Master in osteopatia posturale presso l'universita di Pisa dipartimento di endocrinologia e metabolismo,ortopedia e traumatologia,medicina del lavoro. E scuola di osteopatia belga, Belso.ha frequentato numerosi corsi sull'emergenza, in servizio presso l’U.O. di Pronto soccorso e Ps pediatrico. Azienda Cannizzaro per l'emergenza di catania.

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