IN TURNO

Non è la prima volta che ci occupiamo delle guardie notturne in ospedale.

Alla scuola per infermieri si insegnava che l’infermiere fosse una guardia attiva e il medico una guardia passiva; perciò si giustificava l’addormentamento dei medici e, spesso, anche le atipiche deviazioni (accesso nella stanza del medico di guardia di terze persone fino a tarda notte, escort, rifacimento del letto da parte dell’infermiere, ecc.).

Invece alcuni medici distinguono la guardia dal turno.

Affermano che nella guardia si può dormire e nel turno si deve stare svegli.

Peccato che la legge li smentisca perché è vero l’opposto: nella guardia si deve stare a guardia cioè vigili (una guardia che dorme non vigila), mentre in turno si può dormire (si pensi a chi è in turno di pronta disponibilità e dorme a casa in attesa di una chiamata).

Quindi la terminologia è errata.

I termini sono creati dal gergo lessicale e non certo dalla scienza giuridica perché sta più in guardia un infermiere che affina l’udito e la vista per avvertire ogni minimo segnale nel reparto che possa allarmarlo, che un medico che dorme e che (è successo) neppure si avvede dell’incendio o del terremoto che ha colpito la struttura nella quale lavora.

Se trasliamo questo insegnamento nel mondo reale, ci rendiamo conto che non è possibile accostare la parola “guardia” con la parola “dormire”.

Sarebbe assurdo acquistare un cane da guardia passivo che, a differenza di quello attivo, dorme e non abbaia ai ladri, soprattutto se il cane da guardia passivo risultasse più esoso di quello attivo.

La definizione di guardia è: “Mansione di chi veglia su cose e persone, sorveglianza, vigilanza, custodia, essere di g.; cane da g., servizio medico di pronto intervento per urgenze notturne e festive, chi svolge attività di controllo e sorveglianza; piantone, sentinella; chi vigila su beni e persone; fare molta attenzione di fronte a un pericolo”.

Pare che la definizione di “guardia” non collimi molto con quella assunta da alcuni medici che trascorrono la guardia dormendo su un comodo letto chiusi a chiave in una stanza che, spesso, è anche isolata rispetto al posto attivo di lavoro.

La giurisprudenza è ancor più intollerante sulla questione – Cass. Lav., n. 14192/2017.

Ad avviso della Suprema Corte, infatti, “l’addormentamento organizzato”, durante il turno lavorativo, ha una “evidente contrarietà ai doveri fondamentali del lavoratore rientranti nel cosiddetto minimum etico e viola i principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro e per questo merita di essere punito con il licenziamento, soprattutto quando si presta un servizio di essenziale rilevanza”.

Se l’attività lavorativa è di “essenziale rilevanza”, non è assolutamente giustificabile una riduzione dello stato di vigilanza e di veglia perché, diversamente, si limiterebbe la prontezza a reagire e si minaccerebbe l’esigenza di rispondere con tempestività alla prestazione essenziale.

Quindi più la prestazione è essenziale, maggiore sarà la prontezza alla reazione di intervento richiesta al prestatore.

Ora, se si vuole assumere che la prestazione del medico di guardia non sia essenziale e che possa essere procrastinata, allora si può legittimare il c.d. addormentamento medico, ma se si ritiene che la prestazione medica richiesta da chi è di guardia in un servizio che deve rispondere ad una esigenza sanitaria anche urgente, allora il medico non può dormire.

Del resto, quando i medici in contrattazione spingono per una maggiore retribuzione, allora rivendicano posizioni di importanza sociale di alto livello, professionalità insostituibili, presenze indispensabili, come è avvenuto per la questione delle ambulanze di Bologna dove l’ordine dei medici ha preteso l’indiscussa e fondamentale presenza dei medici, relegando a nulla le capacità tecnico-professionali acquisite dal personale infermieristico in ambito emergenziale.

Questo atteggiamento appare illogico e opportunistico perché contrappone due motivazioni inspiegabili sulla natura prestazionale del medico che mutano per ragioni di convenienza.

Difatti il codice civile, nella parte ove regola i rapporti di lavoro, statuisce dei canoni ermeneutici stabilendo, agli artt. 1175 e 1375 C.C., che per correttezza e buona fede la prestazione di lavoro si intende prestata rendendosi a disposizione del datore di lavoro.

Infatti l’art. 1 del D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, definisce l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Di converso, continua il Decreto, per riposo si intende “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro”.

Ergo, quando il medico dorme non dovrebbe essere retribuito, invece pur sognando le pecorelle percepisce una retribuzione tripla rispetto all’infermiere.

Applicando l’art. 36 della Costituzione (la retribuzione è proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro prestato) all’assurda situazione in cui versa la sanità italiana, un medico che dorme vale il triplo di un infermiere che lavora.

Quindi un medico che lavora, vale almeno sei volte più di un infermiere che lavora ed infatti ciò spiega perché le retribuzioni dei medici aumentano mentre quelle degli infermieri sono paralizzate.

Non solo.

A rigor di legge, se applichiamo la regola medica, un lavoratore che dorme non lavora e va licenziato, tranne se è un medico perché un medico che dorme va retribuito perché lavora. Pertanto, sulla stregua di questa ideologia (strampalata) anche riposare e sognare sono atti medici.

Ed allora ci si chiede se dormire sia legittimo, almeno quando il medico sogna di lavorare. Se sognasse altro forse sarebbe illegale perché non starebbe sognando a favore del datore di lavoro.

Ci si chiede anche se possa farlo solo chi è iscritto all’albo dei medici e quindi scatterebbe il reato di abuso della professione medica dormiente se lo facesse un non medico (art 348 C.P.).

Insomma, la regoletta che il medico può dormire in servizio appare facilmente confutabile e comunque fa sorgere non pochi dilemmi giuridici. Forse la soluzione è che dormire non sia possibile, a prescindere dalla funzione svolta. Del resto nessuno pagherebbe uno stipendio per veder dormire chi dovrebbe lavorare.

Erroneamente alcuni sono convinti che l’importanza della presenza del medico, in senso attivo, sia richiesta dalla natura del servizio e perciò se la natura del servizio richiede l’intervento del medico, allora deve stare sveglio, se invece non lo richiede, può dormire.

Anche tale teoria è assurda perché non sarebbe possibile svolgere prestazioni di lavoro mentre si dorme.

Comunque, l’Associazione Avvocatura Degli Infermieri non è d’accordo su quanto diffuso da alcuni medici che ritengono di poter dormire durante la notte in ospedale (perché così la mattina sono freschi e riposati per poter lavorare veramente in clinica privata) in quanto chi dorme si estranea dall’ambiente e si comporta come chi si allontana dal posto di lavoro.

Se le cose non cambieranno, aspettiamoci di vedere il medico sdraiarsi sulla barella per riposare mentre l’ambulanza corre veloce verso il paziente; speriamo però di non dover spegnere la sirena per non disturbare il meritato riposo.

Presidente associazione Avvocatura diritti infermieristici ADI

Prof. Mauro Di Fresco

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Alfio Alfredo Stiro nasce in Sicilia a Catania il 22/01/1970, consegue la laurea in infermieristica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania e successivamente il Master in Management delle Professioni Sanitarie. Master in osteopatia posturale presso l'universita di Pisa dipartimento di endocrinologia e metabolismo,ortopedia e traumatologia,medicina del lavoro. E scuola di osteopatia belga, Belso.ha frequentato numerosi corsi sull'emergenza, in servizio presso l’U.O. di Pronto soccorso e Ps pediatrico. Azienda Cannizzaro per l'emergenza di catania.

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