Le motivazioni dell’assoluzione di Daniela Poggiali: non fu dose di potassio a uccidere la paziente
Daniela Poggiali prima della sua scarcerazione
I tempi della morte della paziente non sono compatibili con la somministrazione di una dose letale di potassio: l’avrebbe uccisa molto più rapidamente. La causa del decesso può essere inquadrata in un “verosimile scompenso glicemico”.
Sono alcune argomentazioni – riportate oggi dall’Ansa – con cui la Corte d’Assise d’Appello ha motivato assoluzione e scarcerazione di Daniela Poggiali, 44enne ex infermiera dell’ospedale di Lugo condannata in un primo tempo all’ergastolo per l’omicidio della paziente 78enne Rosa Calderoni, morta l’8 aprile del 2014 a poche ore dal ricovero.
Nelle 70 pagine il giudice che ha scritto la sentenza assolutoria ha di fatto accettato i risultati della perizia disposta in appello sulla base dei motivi portati dal nuovo difensore dell’imputata, Valgimigli. Per quanto riguarda le statistiche sui decessi di cui fu pure sospettata la Poggiali, il giudice riporta una relazione Ausl, sempre riportata dall’Ansa: “Nei primi tre mesi del 2012, 2013 e 2014 non emersero significative differenze in termini di mortalità fra un reparto e l’altro”.
Nelle motivazioni sono state fortemente criticate anche quelle che sono state bollate come “indagini fai da te del personale ospedaliero” e “improvvide indagini domestiche”. Sulla Poggiali si leggono descrizioni non lusinghiere: “era certamente una persona per certi versi disturbata, capace di condotte riprovevoli, e di mentire, ma nel contempo scaltra e pronta”. Ma in ogni caso tutto ciò non basta evidentemente a trasformarla in un’assassina.
Da ultimo, l’Ansa riporta che è stato vagliato il metodo utilizzato dal professor Tagliaro, consulente dell’accusa, per determinare la concentrazione di potassio dall’umor vitreo della paziente prelevato dai bulbi oculari a 56 ore dal decesso: un metodo per il quale “non esiste consenso adeguato all’interno della comunità scientifica”. Anzi, “un metodo sconosciuto alla medicina forense, che non risulta essere mai stato utilizzato in altro processo”. Alla luce di tutto ciò, secondo la Corte bolognese per la Poggiali “non solo si è in presenza di ragionevoli dubbi, bensì la sua innocenza è di gran lunga l’ipotesi più aderente ai fatti accertati nei due gradi di giudizio”.