Da Quotidiano sanita.it
la storia che racconto a lei e ai suoi lettori merita di essere conosciuta. Un infermiere di una sala operatoria dell’azienda ospedaliera di Ancona svolge il suo servizio, come molti suoi colleghi che lavorano nei comparti operatori, con turni di lavoro alternati tra mattina e pomeriggio e con la copertura dei turni notturni attraverso la “pronta disponibilità”.
Quest’ultima è un istituto contrattuale che prevede il richiamo al lavoro in caso di necessità.
Le attività lavorative devono essere intervallate dai periodi di riposo. Evito di annoiare i lettori con tutte le norme italiane e europee su tale diritto.
Espongo solo i fatti:
l’infermiere in questione ha lavorato nel turno mattutino dalle ore 7,30 alle ore 14 durante l’ordinaria seduta operatoria mattutina. Dalle ore 19,45 era in pronta disponibilità ed è stato richiamato in servizio dalle mezzanotte alle 8 del mattino.
Il collega, sessantenne e vicino alla pensione, evidentemente provato dalle quasi 16 ore di lavoro nelle 24 informa per iscritto che non riuscirà a prendere servizio alle ore 13 (neanche cinque ore dopo) ritenendo di avere diritto alle 11 ore di riposo giornaliero.
Si reca a casa – timbratura cartellino ore 8,09 – e dopo qualche ora viene svegliato da una coordinatrice per “avere conferma” di quanto già chiaramente comunicato per iscritto. Di fronte alle resistenze della coordinatrice chiede un ordine di servizio scritto che gli viene negato e viene informato che la sua sarà considerata una “assenza ingiustificata”. Il collega non si reca al lavoro.
Dopo quindici giorni arriva la “contestazione di fatti disciplinari” dove si contesta all’infermiere non più l’assenza ingiustificata (fatto più grave) ma la più generica inosservanza alle disposizioni di servizio (fatto meno grave) per non essersi recato al lavoro.
Ora a parte la contraddizione – se è assenza dal servizio deve essere contestata come tale – aziendale mi domando e domando a lei e ai suoi lettori: i diritti delle persone che lavorano sono così ridotti nel 2017 se dopo 16 ore di lavoro nelle 24 non si ha diritto a un adeguato riposo?
Una coordinatrice, che agisce comunque in nome e per conto dell’azienda, può svegliare a casa propria un infermiere che ha addirittura superato le 12,50 ore di lavoro che oggi si dice siano il limite massimo da superare? Nella “segnalazione” fatta e che allego si stupisce che l’infermiere/svegliato ha risposto con “toni alterati” e contrappone il comportamento corretto invece dei colleghi che hanno rinunciato al riposo e al sonno e si sono recati comunque al lavoro.
Una dirigente infermieristica che, a maggior ragione agisce per conto della direzione, invece di richiamare la coordinatrice per l’eccessivo zelo si accanisce contro l’infermiere colpevole, ai suoi occhi, di rivendicare il diritto al riposo e al sonno dopo una notte passata interamente a lavorare.
Questa situazione è comune a tutta l’equipe e quindi riguarda anche i colleghi della dirigenza medica che sono sottoposti agli stessi identici meccanismi di turni e orari.
Mi domando allora quale idea di lavoro e di servizio ha un’azienda che non solo nega questi diritti di buon senso, prima che giuridici e contrattuali, e quale idea di qualità di servizio ha un’azienda che “depriva” dal sonno il proprio personale?
Come pensa di garantire ai propri utenti la sicurezza delle cure di cui tutti parlano oggi? I pazienti e i loro familiari vengono informati del fatto che nelle equipe di sala operatoria dei turni pomeridiani di tutta Italia, sono in servizio persone che, spesso, non hanno dormito la notte? E’ giusto che l’azienda sottoponga a procedimento disciplinare persone che meriterebbero un encomio? Quale politica del personale perseguono?
Queste sono le domande, caro direttore, che porgo a lei e ai suoi lettori.
Giuseppino Conti
Segretario Territoriale Nursind Ancona