La Cassazione ha assolto i due medici campani che curarono un camorrista ferito in un conflitto a fuoco durante un regolamento di conti, senza denunciarlo e senza stilare il referto, operandolo nella sua abitazione. Ad avviso dei magistrati “il diritto alla salute prevale sulle esigenze di giustizia”. Annullate dunque le condanne per favoreggiamento.
Secondo la Suprema Corte, “in tema di favoreggiamento ascritto ad un soggetto esercente la professione sanitaria, la situazione di illegalità in cui versa il soggetto che necessita di cure non può costituire in nessun caso ostacolo alla tutela della salute”. Per questa ragione, la Cassazione ha annullato senza rinvio le condanne per favoreggiamento emesse – in primo grado dal Tribunale di Torre Annunziata e confermate dalla Corte di Appello di Napoli – nei confronti dei due medici, Luigi A. e Mario T.
Il primo camice bianco aveva ricevuto la richiesta d’aiuto per telefono e dato che l’intervento richiesto era “estraneo alle sue competenze”, aveva girato il caso a un collega chirurgo dopo averlo avvertito che la famiglia della persona interessata “non era buona”. Il verdetto degli ermellini rileva che non vi è “dubbio” sulla “consapevolezza in capo agli imputati della situazione di illegalità in cui versava il paziente destinatario delle cure richieste”, ma questa circostanza, lungi dal ritorcersi contro i due medici, “definisce, con ancora maggiore chiarezza, l’immediatezza e la non procrastinabilità delle cure mediche da prestare”.
Secondo la Cassazione, inoltre, i giudici di merito hanno sbagliato a condannare i medici perché li hanno voluti punire non per aver aiutato il camorrista ad eludere le indagini, ma per “non aver favorito le ricerche dell’autorità” rifiutandosi di eseguire l’intervento a domicilio e facendo sì che il ferito si rivolgesse a una ospedale pubblico. In proposito, la Suprema Corte sottolinea che non si può sanzionare “il mancato aiuto alle indagini” che è’ “in aperto contrasto con la norma di riferimento”.
Perché si configuri il favoreggiamento a carico di un medico, spiega la sentenza, è necessario che il suo dovere professionale vada oltre “il limite della diagnosi e quello della terapia”, un limite che non è superato per il solo fatto che sia stato operato a domicilio un camorrista ferito. Quanto all’obbligo del referto, gli ermellini affermano che il camice bianco ha la “prerogativa” di ometterlo “ogni qualvolta dalla sua redazione derivi la possibilità di esporre a procedimento penale la persona alla quale egli ha prestato assistenza”. Come in questa vicenda nella quale nel quale il ferito non era stato solo soggetto “passivo” del regolamento di conti.
In conclusione le condanne sono state annullate “perché il fatto non sussiste”. Ai medici si risalì perché, nonostante il loro mancato aiuto alle indagini, il paziente camorrista fu lo stesso arrestato e sottoposto a radiografie per via della ferita che fece la “spia” sull’operazione subita.