Il Tribunale di Trani ha respinto la richiesta urgente di trasferimento e miglioramento delle condizioni lavorative: per i giudici mancavano prove concrete di pericolo imminente
Il caso: il ricorso urgente presentato da un’infermiera
Il Tribunale del Lavoro di Trani ha respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato dall’infermiera, dipendente della ASL BAT, che lamentava gravi condizioni lavorative e presunti comportamenti discriminatori da parte dell’azienda sanitaria. Secondo l’infermiera, la sua collocazione lavorativa attuale – caratterizzata da illuminazione al neon, assenza di stampante personale, sedia non ergonomica e postazione ritenuta insicura – aggravava le sue condizioni di salute, già segnate da emicranie croniche e invalidità certificata.
L’infermiera, già oggetto di due precedenti trasferimenti contestati e ancora sub judice, chiedeva al giudice di disporre misure urgenti e migliorative delle sue condizioni operative, in virtù delle normative sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela delle persone con disabilità.
La decisione del giudice: mancano i requisiti per l’urgenza
Nell’ordinanza del 3 luglio 2025, firmata dalla giudice Angela Arbore, il Tribunale ha sottolineato che non erano soddisfatti i requisiti essenziali per l’adozione di provvedimenti urgenti: il “fumus boni iuris” e il “periculum in mora”. In particolare, la mancanza di prove concrete su un danno imminente e irreparabile ha portato al rigetto del ricorso.
Nonostante le numerose doglianze espresse – tra cui l’impossibilità di lavorare serenamente a causa della luce artificiale e dei rapporti conflittuali con i colleghi – la giudice ha rilevato che molte problematiche erano di natura soggettiva, risolvibili o già affrontate dall’azienda, come dimostrato anche dai testi della parte resistente.
Il nodo dell’“accomodamento ragionevole” e i limiti della tutela
Il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza nazionale ed europea, ricordando che l’obbligo di predisporre “accomodamenti ragionevoli” per i lavoratori disabili non è assoluto, ma va bilanciato con le possibilità tecniche, organizzative ed economiche del datore di lavoro. La ASL BAT, secondo quanto emerso, aveva cercato soluzioni compatibili, anche attraverso l’uso del “Disability Management”, strumento non attivato dall’infermiera.
Inoltre, secondo le testimonianze raccolte, la ASL aveva fornito risposte puntuali alle criticità sollevate, garantendo postazioni conformi alla normativa in materia di salute e sicurezza (D.Lgs. 81/2008) e, in alcuni casi, strumenti migliori rispetto allo standard.
Le testimonianze: opinioni contrapposte tra sindacato e dirigenza
Il procedimento ha evidenziato posizioni molto diverse tra le parti. Mentre il testimone della ricorrente, dirigente sindacale e compagno dell’infermiera, ha confermato le condizioni critiche e il malessere lavorativo, i dirigenti ASL hanno sostenuto che le problematiche erano state affrontate e che la postazione assegnata era a norma.
Da parte della ASL è stato anche sottolineato come molti altri lavoratori del distretto presentino condizioni di salute anche più complesse, ma non per questo incompatibili con l’attività lavorativa.
In assenza di una prova concreta e specifica di un danno attuale, grave e irreparabile, il Tribunale ha deciso per il rigetto del ricorso e ha condannato l’infermiera al pagamento delle spese legali per un importo di 2.800 euro, oltre accessori di legge.