Medici e infermieri in trincea: “Turni infiniti, stress e paura”

La trincea ha un prato verde molto curato e una facciata di mattoncini da piccolo ospedale di provincia, lindo e pulito. Dentro c’è anche un bar, dove le scorte si stanno esaurendo e con difficoltà vengono rimpiazzate: nessuno ha voglia di entrare qua dentro, l’epicentro del grande terrore, il focolaio del virus.

Se c’è una prima linea, è qui, all’ospedale di Codogno. Ma dentro “soldatesse e soldati”, girano con tute, mascherine, guanti e le facce stanche di chi sta facendo turni «infiniti e massacranti». Di chi ha a casa una famiglia da cui ha paura a tornare. Perché col virus che sta spaventando il nord Italia e mezzo mondo, ha avuto a che fare direttamente, senza saperlo e quindi senza adottare precauzioni, da prima che il secondo tampone al «paziente indice», il 38enne di Codogno, confermasse l’inizio del focolaio.

«Siamo in difficoltà. Anche noi ovviamente abbiamo paura, abbiamo figli, mogli e mariti. Ma facciamo quello che siamo chiamati a fare, il nostro dovere». Parla un infermiere dell’ospedale di via Marcori, che chiede di restare anonimo. Racconta l’emergenza nell’emergenza di una struttura che conta già undici tra medici e infermieri evacuati nelle speciali barelle isolanti e trasportati nell’altro ospedale di guerra contro il virus, il Sacco di Milano. Tanti altri operatori sanitari non possono tornare a casa in via cautelativa e restano in isolamento nella struttura. «Ma anche tra chi è tornato dalla famiglia, molti aspettano ancora di essere sottoposti al tampone». Un altro infermiere della Rianimazione racconta: «Nel mio reparto, quattro colleghi e il caposala sono al lavoro da giovedì, dalla scoperta del primo caso. Un turno che si è concluso solo ieri mattina». Ora tutti sono stati messi in quarantena e saranno sostituiti da personale esterno di una cooperativa. «Certo, non conoscono la struttura e le attrezzature, ma serve qualcuno che dia il cambio». Nel reparto in tutto, infatti, sono undici gli infermieri in servizio: troppo pochi per gestire la situazione e per coprire i turni, che da oggi saranno (almeno sulla carta) di dodici ore.

Ma anche in Medicina Interna ci sono grandi difficoltà. «Non ce la facciamo più a livello fisico e siamo in crisi a livello psicologico perché nessuno è in grado di darci risposte o permetterci di finire questo infinito turno», scrive un gruppo di infermieri in una lettera indirizzata al direttore sanitario dell’ospedale. Una richiesta di aiuto e di chiarezza, in un momento di grande difficoltà, per tutti. «Segnaliamo il nostro avvenuto contatto diretto» con i due medici contagiati. «Segnaliamo inoltre che la quasi totalità dei nostri colleghi ha telefonato per comunicare l’indisponibilità a essere presente nel reparto nelle prossime giornate aprendo così ovvi problemi di continuità assistenziale».

C’è tanta umana paura anche tra chi svolge un mestiere così delicato. Non in tutti, sia chiaro: in qualcuno, sì. «Già stanotte non si è presentato nessuno a darci il cambio e noi saremo costretti ad un turno di 16 ore. E stamattina idem. Siamo qui da ieri alle 14 senza avere risposte certe e dovendo provvedere ancora alle necessità assistenziali del reparto». Direttore sanitario e direttore generale dell’ospedale, contattati telefonicamente, hanno preferito non rilasciare alcun commento.

Al Sacco invece, dove alle emergenze dei nemici invisibili sono abituati (affrontarono la Sars nel 2003, ma sono soprattutto l’avanguardia nella lotta all’Aids e alle malattie contagiose) ci sono altri “soldati”: gli infettivologi che si sono asserragliati nella trincea proprio in fondo alla cittadella sanitaria che presidia il quartiere di Roserio. È qui, nell’ultimo padiglione, in fondo ai viali alberati, che si è acquartierato il drappello di medici e infermieri che ha il compito di fronteggiare, con armi notevoli ma non del tutto definitive, i contagiati del virus. Anche qui nessuno vuole dare nomi o rilasciare interviste, ma qualcuno accetta di spiegare la quotidianità scattata da giovedì sera, quando sono state attivate tutte le linee guida di emergenza: turni di 12-13 ore e rispetto di un protocollo rigidissimo.

«Si entra in reparto solo dopo aver indossato tre paia di guanti, camici speciali che ricoprono tutto il corpo, calzari appositi e mascherine dotate di filtri particolari e dei paraocchi». Mettono un po’di inquietudine quando li si incontra, ma dietro le maschere, talvolta, s’intravvedono sorrisi. E tanto deve bastare agli attuali quindici pazienti infettati dal coronavirus e ricoverati in parte al pianterreno, dove è stata modificata l’ala della Rianimazione che è stata sostanzialmente chiusa, parte al piano superiore: gli undici sanitari di Codogno, la moglie incinta del “paziente indice” (ricoverato al Policlinico San Matteo di Pavia) e altri tre malati, tutti del Lodigiano.

Loro – a differenza dei colleghi di Codogno – sono entrati in contatto col Covid-19 con la consapevolezza del focolaio e della battaglia appena iniziata. Pronti a combatterla con tutte le precauzioni necessarie. «Io un po’ di paura ce l’ho – racconta la moglie di uno di loro – ma mio marito non mostra alcuna ansia e ha detto ai nostri figli che la mascherina per ora è del tutto inutile. Se lo dice lui, non posso che fidarmi».

Redazione

Fonte

Tgcom24 mediaset. It

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Alfio Alfredo Stiro nasce in Sicilia a Catania il 22/01/1970, consegue la laurea in infermieristica presso la facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania e successivamente il Master in Management delle Professioni Sanitarie. Master in osteopatia posturale presso l'universita di Pisa dipartimento di endocrinologia e metabolismo,ortopedia e traumatologia,medicina del lavoro. E scuola di osteopatia belga, Belso.ha frequentato numerosi corsi sull'emergenza, in servizio presso l’U.O. di Pronto soccorso e Ps pediatrico. Azienda Cannizzaro per l'emergenza di catania.

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