ho letto con estremo interesse il dibattito, agito tre le colonne del suo giornale (Quotidiano Sanità. It) , che vede protagonista, ancora una volta, l’allocazione dell’infermiere nel suo presente, nel suo passato e, naturalmente, nel suo futuro.
Ora, le tesi sostenute sono tutte valide e condivisibili; postulare che un medico possa dirigere, negli aspetti gerarchici e funzionali, l’infermiere, potrebbe essere un’idea che vale tanto quanto l’asserzione che vuole quest’ultimo alla direzione sanitaria di un ospedale.
In altre parole se, in funzione di una sanità migliore, il medico può dirigere un DIPSA, va da se che non può essere tacciato di blasfemia colui che immagina un infermiere Direttore Sanitario.
Il punto è quanto possa essere realizzabile tutto ciò.
E’ vero che una legge, abrogante quelle vigenti, potrebbe statuire che l’uno e l’altro professionista possano essere fungibili nelle rispettive direzioni ma, e sottolineo il punto, quale Parlamento potrebbe mai farlo.
Vede, il nostro è il tempo delle transumanze dei consensi politici; abbiamo assistito, negli ultimi anni, a migrazioni di voti, a due cifre percentuali, tra uno schieramento e l’altro, tra un partito e l’altro, tra una ideologia politica e l’altra che, di fatto, cementificano, legga l’ossimoro, la precarietà del potere.
Bene, il potere, mi perdoni il pleonasmo, poggia la propria struttura sul voto e sia i medici che gli infermieri hanno di fatto imparato a votare.
È pur vero che un domani potrebbe accadere che un chicchessia si affacci al balcone di una piazza che porta il nome della più bella laguna del mondo ma, fino ad allora, la partita si gioca colle carte che si hanno e non con quelle che ci piacerebbe avere.
Posto ciò in doverosa premessa, fa uopo ridurre a singolarità cellulare il tessuto argomentativo un po da tutti sin qui ordito.
Il vero problema non è chi fa il Direttore, l’imperativa questione è l’identità professionale.
L’infermiere vuole autogovernarsi e non solo negli aspetti apicali ma anche, e soprattutto, nella quotidianità delle corsie e del territorio.
Parlare di infungibilità del medico è esaltante ed affascinante dal punto di vista filosofico ma riamane pur sempre accademia che, per definizione, lascia aliena la massa.
Gli infermieri non vogliono essere fungibili al medico ma neanche vogliono essere succedanei di quest’ultimo.
Vede, in non credo, almeno in questa faccenda, nella categoria socio politica del nemico – amico di Carl Schmitt.
L’infermiere e il medico non sono nemici, sono tutto al più, faccio un po di retorica accademica anch’io, degli amici che, mettiamola così, non si capiscono, dei colleghi che vivono in alcuni casi una frizione identitaria che qualche volta sfocia in una prova muscolare: nient’altro.
Prima o poi bisogna sdoganare un concetto che vedo, nell’ignavo rispetto del political correct, solo timidamente accennato: il medico crede di comandare sull’infermiere e quest’ultimo crede di non essere comandato.
Vede, ho volutamente usato il verbo credere per sottolineare l’aspetto ontologico emotivo che prepone siffatto sentimento; entrambi hanno ragione ed entrambi hanno torto, il punto è definire cos’è il comando.
Se prescrivere il furosemide è percepito come un comando, l’infermiere sbaglia, se definire la propria identità, la propria azione e la propria formazione come un’insurrezione di sottoposti, il medico sogna.
Sui libri di storia si legge che in mille, partendo su due navi e armati con qualche moschetto, hanno conquistato il sud della penisola e fatta l’Italia.
Pochi sanno, tuttavia, che quei mille non hanno trovato, se non in sporadici casi, alcuna resistenza poiché mai si sarebbe potuto vincere contro l’esercito borbonico che, in quel tempo, era il meglio armato di tutta Europa.
La vera verità è che il sud aveva sviluppato un catalizzatore identitario che ha impedito ai soldati del Regno di sparare, tutto qui.
Ora, colle dovute smussature, immaginare che un’identità professionale sviluppatasi negli ultimi anni nella popolazione infermieristica possa essere cancellata con un’affermazione, con una tesi ben argomentata o con un vetusto conservatorismo è solo un flatus vocis che, in un linguaggio meno forbito, si scrive chiacchiere; pure, semplici e innocue chiacchiere.
Ciro Balzano
Infermiere, Giurista e Consigliere OPI Milano Lodi Brianza
Redazione NurseNews.eu